La Corte di giustizia Ue, con la sentenza in allegato, ha concluso che al creditore non può essere rifiutato il diritto alla riduzione dell’Iva assolta relativa a un credito non recuperabile qualora non si sia insinuato nel fallimento del suo debitore.
La questione trattata dalla Corte riguardava la legittimità della nota di variazione in diminuzione in presenza di una procedura fallimentare del proprio cliente a cui il creditore non partecipa.
Si ricorda come sul punto, nella prassi dell’amministrazione finanziaria italiana, si è sempre sostenuto che si dovesse attendere l’infruttuosità della procedura, ritenendo quale condizione preliminare alla precedente «la necessaria partecipazione del creditore al concorso».
Diversamente, la Corte di giustizia con quest’ultima pronuncia, afferma che gli Stati Membri devono permettere la riduzione della base imponibile qualora il soggetto passivo sia capace di dimostrare che il credito da lui vantato nei confronti del suo debitore presenti un carattere definitivamente irrecuperabile (ad esempio quindi nel caso di mancata insinuazione al passivo).
Un altro aspetto interessante della sentenza riguarda le misure antielusive che gli Stati Membri possono adottare. La Corte afferma che tali misure sono valide solo «entro i limiti strettamente necessari per raggiungere tale obiettivo specifico» e non possono incidere sui principi cardine dell’Iva, tra cui la neutralità. Di conseguenza, qualora esistono le prove che la mancata insinuazione al passivo sia dovuta a comportamenti fraudolenti sarebbe giustificato il mancato riconoscimento del credito. Ma non sarebbe legittimo introdurre a priori una presunzione generale di frode, che va al di là di quanto è necessario per raggiungere l’obiettivo consistente nel prevenire le evasioni fiscali.